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Roma, 8 gennaio 2009
UN’OPERAZIONE «CHI SA PARLI» PER GLI ANNI ‘70
Croppi lancia la provocazione sui “ministri reticenti” e da sinistra qualcuno risponde
dal Secolo d’Italia di giovedì 8 gennaio 2009
«Da tempo c’è la consapevolezza che sugli anni di piombo c’è anche un lato oscuro dell’attività istituzionale che va ricostruito. Non a caso il nome completo della Commissione stragi in realtà era “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi e sul terrorismo in Italia”». A ricordarlo è Marco Boato, commentando la provocazione lanciata dall’assessore alla Cultura del Comune di Roma, Umberto Croppi, in occasione dell’anniversario della strage di Acca Larenzia. «Io personalmente – ha detto Croppi – inciderei su un muro il nome dei presidenti del Consiglio e dei ministri dell’Interno dell’epoca e ci scriverei: “Ora diteci quello che sapete”». «Una seria ricostruzione di quegli anni – ha precisato – non è stata fatta ancora, perciò ora spetta a chi, come noi, fu protagonista di quegli anni creare le premesse per quel dibattito rigoroso, sotto il profilo sia storico sia politico, che finora è mancato. Significa andare al di là della cronaca, con un’ottica diversa». Chi sa racconti, è l’invito di Croppi. E Boato, che alla fine degli anni ‘80 fu uno dei fautori della commissione stragi come occasione di chiarezza, in questo senso rilancia: «Viene richiamata spesso la memoria condivisa, ma io credo che basterebbe la memoria, ovvero che ognuno raccontasse con autenticità la parte di storia che conosce».
Quindi condivide la provocazione di Croppi?
Condivido la preoccupazione da cui parte e cioè il fatto che sia necessario scavare più a fondo per una ricostruzione storico-politica degli anni di piombo, probabilmente anche a livello delle istituzioni. Ma, accettando il terreno di Croppi, voglio lanciare a mia volta una provocazione.
Dica.
Sul muro mettiamoci anche i nomi dei capi dei servizi segreti, della polizia, dell’arma dei carabinieri, dei capi di gabinetto.
Degli apparati dello Stato tout court.
Sì, ed è qui che trovo una debolezza nella provocazione intellettuale di Croppi, che – ripeto – condivido nello spirito. Ricostruire la storia del terrorismo è molto più facile che ricostruire le responsabilità, le connivenze, i depistaggi e io non credo che il lato, diciamo, indicibile del ruolo svolto dalle istituzioni nelle vicende più oscure del nostro Paese si possa ricostruire passando solo per i presidenti del Consiglio o per i ministri dell’Interno. L’esperienza che ho avuto da questo punto di vista è abbastanza deludente, nel senso che non bisogna innamorarsi troppo dell’idea che siano le autorità politiche a sapere tutto quello che succedeva in quegli anni. Poi, certo, è possibile che qualcuno sappia più cose di altri.
Per esempio?
Cossiga, tra tutti i ministri dell’Interno, forse è quello che ne sa di più e molte cose le ha dette.
Ma con Cossiga si ha sempre la sensazione che alluda, più che dire fino in fondo. Chi altro le viene in mente?
Taviani era uno che sapeva molte cose, ma non c’è più. L’ho conosciuto quando eravamo entrambi al Senato. Mi disse che molte cose si sarebbero sapute dopo la sua morte e così è stato. Quando era all’Interno fu lui a denunciare l’uso strumentale degli opposti estremismi, e poi non fu rinominato al governo... Purtroppo di queste persone alcune non ci sono più e molte altre sono poco conosciute, i loro nomi scritti su un muro non susciterebbero nulla.
Sembra piuttosto disilluso rispetto alla possibilità di ricostruire fino in fondo quegli anni. Non crede che i tempi siano maturi?
I tempi sono stramaturi. E in parte è stato già fatto. Sia a destra sia a sinistra c’è stata una ricerca, una volontà di capire. E questo anche in nome dello spirito di quella che con un po’ di retorica viene chiamata “memoria condivisa”. Per la parte istituzionale è più problematico.
Perché lo è tanto?
Perché c’è un lato oscuro nella storia degli Stati che è un terreno ostico ovunque. In Francia, in Germania, ma in Italia di più perché il periodo storico è più lungo e va più o meno dalla metà degli anni ‘60 alla metà degli ‘80. C’è stato uno scontro ideologico più forte, che ha portato odi, rivalità, tensioni, paure. Una sorta di guerra civile strisciante che non è mai finita, nemmeno con la caduta del muro di Berlino. C’è un groviglio di aspetti storico-politici, ma anche umani, culturali, psicologici. Quindi è molto difficile trovare persone che abbiano fatto parte delle istituzioni, dei corpi dello Stato, disposte a raccontare sia pure a distanza di anni.
Ma l’attuale classe politica appartiene a un’altra generazione, forse davvero – come dice Croppi – è ad essa che spetta creare le premesse per un di battito rigoroso. Ci si può arrivare?
Arrivare ci si potrebbe arrivare, ma ci vorrebbero la volontà politica e le disponibilità personali. L’attuale classe politica potrebbe al massimo rimettere in moto un processo che era stato avviato e che poi si è interrotto malamente.
A cosa si riferisce?
Penso all’esperienza della Commissione Stragi. Ha portato cose positive su vicende come il caso Moro, Gladio, ma la mia sensazione è che poi si sia irrigidita sulla contrapposizione ideologica, che abbia voluto usare lo studio di un passato oscuro come strumento di attuale lotta politica, invece di perseguire l’obiettivo di quella ricostruzione rigorosa che auspica Croppi.
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MARCO BOATO
BIOGRAFIA
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